Grandi opere, Grandi eventi, Grandi Affari.
Convegno nazionale
Napoli, 26-27 febbraio 2011
Relazione introduttiva
Premessa
L’organizzazione di questa iniziativa è partita dall’Assise Cittadina per Bagnoli, un comitato di base che segue da quindici anni il processo di riconversione urbanistica dell’omonima ex area industriale e che, nell’ambito della Rete Campana Salute e Ambiente, partecipa alle lotte regionali contro megadiscariche ed inceneritori, per un piano rifiuti alternativo. Da una riflessione critica su questo lavoro territoriale, svolta insieme ad altricompagni della Rete, è sorta la necessità di confrontarsi con i soggetti attivi in queste lotte ad altri potenzialmente interessati, perchè a partire dalle singole vertenze si lavorasse a delineare un quadro strategico delle questioni affrontate e quindi una linea d’azione, delle campagne politiche unitarie all’altezza delle poste in gioco, sia a livello nazionale che locale. Nel cercare interlocutori, abbiamo incontrato i compagni del NoMose, di Abitare nella Crisi, del NoExpo di Milano ad altri, alcuni dei quali avevano già avviato percorsi analoghi, e con loro si è deciso di dare vita a questo convegno sulle Grandi Opere, i Grandi Eventi, i Grandi Progetti di trasformazione territoriale, temi che sono al centro del lavoro politico di tutti noi
L’incontro che si svolgerà tra oggi e domani si inserisce quindi in un percorso plurale di riflessione avviata in questi anni da molteplici realtà nazionali e riflette l’esigenza condivisa di superare i limiti della dimensione esclusivamente locale e settoriale delle lotte per l’ambiente, il lavoro, la casa, i beni comuni, i diritti dei migranti, etc. e di iniziare ad articolare un discorso comune ed un’iniziativa politica coordinata.
Il territorio
Che in queste iniziative sia sempre presente il riferimento al territorio non deriva solo dal fatto che in questi anni siano cresciute ed abbiano acquisito visibilità e peso politico le lotte delle comunità locali contro i progetti di devastazione ambientale, per il diritto alla casa, ai servizi sociali urbani, alla salute, etc. ma è soprattutto perchè il territorio appare una categoria analitica capace di raccontare ed interpretare unitariamente i processi di ristrutturazione sociale legati alle dinamiche del capitale globalizzato, con la progressiva estensione della precarietà e dello sfruttamento a tutti gli aspetti e i contesti della vita; e che, al tempo stesso, appare anche feconda di indirizzi per l’unificazione delle lotte.
Il territorio inteso ovviamente non solo come organizzazione spaziale di oggetti fisici ma come insieme delle logiche sociali costituitive di quegli oggetti e delle loro relazioni, il modo concreto in cui i flussi di merci, il capitale, l’informazione, la forza lavoro, si compongono per organizzare la produzione ed il consumo; quindi il ciclo di valorizzazione del capitale, la riproduzione della forza lavoro e i conflitti derivanti dal carattere squilibrato del processo. E’ in questa dimensione che possiamo guardare organicamente e non per semplice giustapposizione alle questioni della fabbrica, della città e dell’ambiente, alle politiche industriali, a quelle sociali, alla pianificazione urbanistica ed ambientale. E’ in questo senso che abbiamo inserito tra gli interventi contributi che spaziano dalla deindustrializzazione del territorio e gli effetti del piano Marchionne agli effetti nocivi degli impianti di incenerimento, dalle infastrutture energetiche ai bisogni abitativi degli immigrati alle servitù militari; perchè crediamo necessario parlare di lotte per il lavoro, lotte per la casa, l’ambiente, la salute, i diritti, tenendo presente le logiche che presiedono complessivamente all’investimento/disinvestimento di capitali in attività industriali piuttosto che in infrastrutture o grandi progetti urbani, in prodotti finanziari anzichè in immobili (per non dire poi “in tutto questo”, anziché in programmi sociali, per la tutela della salute, la bonifica e manutenzione del territorio, etc.), nonché alla produzione delle connesse strutture sociali di controllo politico e ideologico.
Proprio la crisi economica mostra quanto il processo di globalizzazione e finanziarizzazione del capitale abbia promosso il ruolo delle rendite e determinato l’intreccio profondo tra quelle finanziarie e quelle immobiliari, con la tendenziale trasformazione del mercato degli immobili in una sorta di sfera dipendente o complementare di quello dei titoli. E’ la fase suprema di un processo di recupero della rendita o di assorbimento del profitto nella sua sfera, iniziato con il ciclo di dismissioni industriali degli anni ’80, quando al ribasso del costo del lavoro tramite automazione e decentramento corrispose la speculazione sulla riconversione terziaria delle ex aree produttive metropolitane, e poi alimentato dalle privatizzazioni degli enti pubblici (e dei loro cospicui patrimoni immobiliari), dall’abolizione del controllo sui fitti, dai vari scudi fiscali e condoni, dalla diffusione dei fondi immobiliari, dai processi di consumo incontrollato del suolo, etc.
Nel momento in cui il rapporto di capitale si generalizza ed il capitale assume forma sempre più concentrata ed astratta, il territorio passa dal ruolo di mezzo o di semplice supporto a quello, tendenzialmente, di prodotto e fine stesso dell’accumulazione e dei regimi sociali necessari al suo sostegno. Per questo l’uso e la produzione del territorio diventano una posta strategica ed i conflitti che lo attraversano un momento fondamentale della lotta di classe. Per questo occorre ristabilire forme di sovranità sociale sull’uso del territorio, fondate sulla mobilitazione di nuovi soggetti e di modi di uso alternativi a quelli dominanti, tesi cioè ad affermare, contro le ragioni della rendita e del profitto, il soddisfacimento dei bisogni sociali ed la conservazione dell’ambiente di vita collettivo.
La lettura del territorio ci permette di cogliere i limiti di un modello di sviluppo basato sulla crescita indiscriminata, sul consumo delle risorse umane ed ambientali, sull’intensificazione dello sfruttamento del lavoro, sulla trasformazione in merce di ogni aspetto della vita sociale; un modello che continua ad orientare ampie aree della sinistra politica e sindacale, le quali affrontano i problemi posti dalla crisi nell’unica prospettiva della riattivazione di quel modello, magari emendato con correttivi sociali o ambientali di dubbio valore. Un esempio significativo è stata la manifestazione comune sindacati-imprenditori edili del 1° dicembre a Roma, su cui i compagni di Abitare nella Crisi hanno scritto una lettera aperta molto chiara e condivisibile: manifestando sconcerto per l’assenza di un ragionamento complessivo sui costi territoriali che avrebbe un rilancio del settore edilizio fondato sugli interessi degli stessi soggetti che hanno generato la crisi, in primis immobiliari e banche, in termini di privatizzazione dei beni comuni, di sfruttamento del lavoro, di consumo di suolo, di incremento della rendita e dei carichi urbanistici; mentre il problema è invertire la rotta, partire dalle necessità di chi abita le città, promuovere per il loro soddisfacimento il recupero di manufatti e aree dismesse, la tutela del verde, dei servizi, della mobilità collettiva. Altrimenti, per usare le loro parole:
“Chi evoca, manifestando congiuntamente ai costruttori, un nuovo “patto sociale” rischia di divenire complice di ciò che sta per avvenire collaborando alla sopravvivenza dei profitti di pochi ed allo stesso tempo alla caduta libera dei redditi, delle garanzie e dei diritti di tutti”
C’è da dire che oltre quarant’anni fa, in una fase economica espansiva, certo, il sindacato ha saputo esprimere un altro livello di coscienza e concretezza sui problemi territoriali: le rivendicazioni dello sciopero generale per la casa del 1969 indicavano con chiarezza i nodi da affrontare in maniera correlata (intervento pubblico per la realizzazione contemporanea di residenze popolari, infrastrutture e servizi; reperimento delle risorse necessarie tramite la tassazione dei redditi più alti; nuova legge sul regime dei suoli). E se oggi un settore del sindacato ha avviato un concreto processo di ripensamento, con cui è necessario confrontarsi con chiarezza, occorre che su questioni come la casa, la difesa del suolo, il patrimonio demaniale pubblico, la gestione dei rifiuti, le infrastrutture, il nucleare, si dicano parole chiare e nel senso giusto, anche sconfessando indirizzi del passato prossimo. Difesa del lavoro e difesa del territorio passano entrambi attraverso l’affermazione di una loro sacrosanta rigidità, il rifiuto del principio che vorrebbe il loro uso massimamente flessibile e deregolamentato per alimentare una crescita i cui vantaggi sono sempre più concentrati nelle mani di una minoranza, mentre i territori vengono subissati da nuove costruzioni, case, capannoni, centri commerciali, autostrade, ferrovie ad alta velocità, ponti, tunnel, strutture portuali, gassificatori, centrali termoelettriche, impianti nucleari, discariche, inceneritori, etc..
E qui veniamo al tema del convegno.
Grandi Opere e Grandi Eventi
Grandi Opere e Grandi Eventi appaiono esempio sintomatico di un sistema capitalista finanziarizzato in cui la produzione del territorio è orientata da logiche di valorizzazione speculativa del capitale, non solo svincolate dagli effettivi bisogni sociali e dalle esigenze ambientali ma financo da reali prospettive e politiche di sviluppo produttivo; l’impresa mira a realizzare in maniera rapace i profitti supplementari legati alle diversità dei contesti spaziali e sociali, mentre le istituzioni pubbliche appaiono sempre più incapaci di pianificare autonomamente l’uso del territorio e si riducono ad un ruolo di attrazione e supporto degli investimenti privati. Si genera così un intreccio perverso tra politiche neoliberiste ed intervento pubblico, dove (ad onta della retorica sul project financing) lo Stato assicura all’impresa privata tutte le garanzie finanziarie, i dispositivi giuridici di deroga alla legislazione ordinaria e l’apparato repressivo necessari alla realizzazione delle Grandi Opere. Esse divengono un affare in sé, favorendo la formazione di strutture politico-affaristiche ed il riciclaggio di capitali illeciti; una situazione particolarmente evidente nel nostro paese dove gli stessi cartelli bancari e imprenditoriali nazionali gestiscono gli appalti del settore mentre la dilatazione di tempi e costi di realizzazione, con la distribuzione clientelare a pioggia di consulenze, incarichi e commesse, è ormai divenuta la norma. Le inchieste sulla Protezione Civile per gli appalti del G8 in Sardegna e la ricostruzione de l’Aquila hanno solo evidenziato l’ultimo anello di una catena che stringe con le medesime modalità tutte le aree del paese, dal TAV al Ponte sullo Stretto di Messina al sistema integrato rifiuti in Campania fino ai programmi per le infrastrutture energetiche, tra cui alligna minaccioso il piano di rilancio dell’energia nucleare. Né sono da dimenticare le condizioni di lavoro imposte alle maestranze edili, nelle quali è rilevante la forza lavoro immigrata: i turni continui e massacranti, il lavoro notturno, il mancato rispetto delle norme di sicurezza. Anche qui la logica dell’emergenza serve da apripista, per sperimentare forme intensive di sfruttamento da imporre successivamente ai rapporti di lavoro ordinari. Malgrado i limiti posti a questo sistema dalla crisi economica, con il contenimento della spesa pubblica anche per le infrastrutture, le Grandi Opere restano il riferimento bipartisan per un’improbabile rilancio dell’economia fondato sul ciclo edilizio, prospettiva che, come già detto, trova sostenitori sia nella sinistra istituzionale (dato anche il pesante coinvolgimento delle cooperative nel sistema di appalti e finanziamenti) sia nel sindacato. Una situazione di estrema sovrarappresentazione degli interessi forti che, in assenza di opposizioni non marginali, ricorreranno sempre di più a quelle logiche di intervento straordinario, lesive dei diritti democratici di base, già sperimentate nei territori più “deboli” (e qui la Campania ha fatto scuola, prima con l’intervento straordinario per il terremoto dell’81, poi con il commissariato rifiuti).
D’altro canto il Grande Evento, versione postmoderna dell’antico panem et circenses, si configura sia come l’occasione per investimenti prevalentemente speculativi in quote di capitale immobile svalorizzato (aree produttive dismesse, zone periferiche e tessuti storici degradati), sia come produzione di capitale simbolico, politica urbana volta a gestire e riorganizzare il consenso, redistribuendo risorse e realizzando quella “mobilitazione dello spettacolo” che mira al recupero ideologico delle tensioni generate da una società urbana in forte polarizzazione. Città e regioni in fase di riconversione terziaria delle proprie economie sono spinte ad attrezzarsi per competere a getto continuo sul mercato internazionale, al fine di promuovere la propria immagine di infrastruttura per il consumo, più che per la produzione; la priorità delle politiche urbane diventa lavorare per aggiudicarsi l’Evento ed i relativi investimenti pubblici e privati, realizzando con l’ausilio dell’immancabile Archistar opere edilizie spesso sovradimensionate o incompiute e destinate all’abbandono (lampante il caso degli impianti sportivi realizzati per le Olimpiadi invernali a Torino nel 2006 o di quelle del nuoto a Roma nel 2010). La data dell’Evento, il tempo ridotto necessario a cogliere la grande occasione, determina un contingentamento drastico dei tempi di discussione e la riduzione degli orizzonti entro cui pensare il destino della città; la partecipazione democratica, già spesso un semplice fantasma che maschera con i rituali delle assemblee elettive il reale patteggiamento delle poste tra gli interessi forti, diventa un ostacolo da superare con politiche pubblicitarie. A tutto ciò si accompagna l’identificazione ideologica del cittadino con il sistema del marketing urbano, una banalizzazione consumistica dei contenuti culturali e la marginalizzazione di soggetti sgraditi e pratiche sociali critiche.
Tra Grandi Opere e Grandi Eventi non esiste solo un rapporto di identità/complementarità nelle logiche di intervento, ma un vero e proprio intreccio operativo, testimoniato da proposte come quella avanzata da Paolo Verri, già direttore del Piano Strategico di Torino e oggi del comitato Italia 150, per una programmazione nazionale dei Grandi Eventi, tesa alla valorizzazione delle aree metropolitane collegate dalla dorsale dell’Alta Velocità.
Ovviamente esiste una gerarchia degli eventi globali e delle relative ricadute territoriali; per questo ci sembra interessante un’analisi comparata dell’Expo 2015 di Milano (cioè un’evento “pesante”, sia in termini di investimenti e nuove operazioni urbanistiche che in relazione all’economia del territorio dove atterra) con il Forum Universale delle Culture 2013 di Napoli (evento “soft” con cui un’area metropolitana in crisi produttiva cerca di valorizzare la propria immagine turistica mettendo a regime interventi territoriali incompleti o in cantiere).
Ma prima di parlare del Forum delle Culture, occorre dire qualche parola su Bagnoli, a cui questa manifestazione è collegata: ci sarà poi anche un intervento sulla questione del centro storico.
Bagnoli
La riqualificazione di Bagnoli, partita quasi vent’anni fa come il grande risarcimento ambientale per la città di Napoli ed un’occasione per il suo sviluppo sostenibile, si è progressivamente impantanata in un intreccio di interessi speculativi, miopie politiche ed incapacità gestionali. L’allora assessore all’Urbanistica Vezio De Lucia tentò un compromesso tra necessità ambientali, esigenze sociali e interessi economici, fondato sull’acquisizione delle aree dismesse alla mano pubblica, la realizzazione di un parco verde di 130 ettari e il recupero del lungomare balneabile, il “contenimento” della nuova edilizia ad 1 milione e 300mila metri cubi. Oggi, ma non da oggi, quel compromesso, sulla cui validità originaria è lecito avere dubbi, è in crisi; e a metterlo in crisi sono state le stesse amministrazioni di centrosinistra che lo hanno promosso e gestito in questi anni senza mai credervi davvero, tentando più volte di stravolgerlo e comunque promuovendo trasformazioni del territorio in contraddizione con il piano o con gli interessi pubblici. L’elenco sarebbe lungo e dovrebbe riguardare non solo Bagnoli, per dimostrare come non si tratta di incidenti di percorso ma di una cultura di quei ceti dirigenti, succube del mercato e dell’accordo con i poteri forti: bisognerebbe parlare della mancata delocalizzazione dell’aeroporto di Capodichino, una truffa con con cui si sottraggono a verde pubblico 80 ettari destinati all’adeguamento dei miserrimi standard urbanistici cittadini; del tentativo sventato con cui nel 2003 il PTCP tentò di rendere edificabili 25mila ettari di terreni agricoli, il 40% del territorio rurale della Provincia di Napoli; di un piano casa regionale che consente incrementi di superfice e cambi di destinazione d’uso perfino superiori a quelli previsti dalle direttive nazionali (e che adesso la nuova giunta regionale di destra ha ulteriormente peggiorato). Ma restiamo a Bagnoli. Mentre i lavori di bonifica iniziati nel 1997 divenivano un affare per la società dell’IRI incaricata della sua realizzazione e le ditte subappaltatrici, i valori immobiliari dell’area esplodevano espellendo centinaia di famiglie a basso reddito nell’hinterland. Il passaggio di mano nel 2002 dall’IRI alla Società di Trasformazione Urbana a capitale pubblico locale Bagnoli Futura non segnava nessuna concreta discontinuità in termini di maggiore trasparenza ed efficacia del processo di bonifica. Nel 2003, con la candidatura di Bagnoli a sede della Coppa America, la Regione promosse, in contrasto col Piano Attuativo, un progetto che sventrava il futuro parco urbano della piana di Coroglio per impiantarvi un megaporto turistico e relative attrezzature. Nel 2005 Comune e Autorità Portuale diedero in concessione a un consorzio di lidi balneari un litorale altamente inquinato e parzialmente occupato da una colmata cementizia di oltre 1 milione di metri cubi contaminati da sostanze tossiche, con grave rischio per la salute pubblica e responsabilità sancite da condanne giudiziarie. Oggi abbiamo un litorale inquinato e privatizzato, dove i fondi per la bonifica marina, peraltro insufficienti, saranno in parte utilizzati per la realizzazione del porto turistico; una bonifica dei suoli industriali ferma a metà, sulla cui validità pesa un’indagine della Procura di Napoli; una Bagnoli Futura in piena crisi finanziaria, con debiti per 300 milioni di euro (tra cui i 72 milioni che deve ancora pagare alla ex proprietaria, la Fintecna, per perfezionare l’acquisizione), che opera senza reali prospettive per iniziare a svendere i suoli pubblici facendo varare ad una giunta comunale ormai priva di maggioranza repentine modifiche di destinazione d’uso dal terziario al sempre fruttuoso residenziale. Tutto questo mentre i diecimila posti di lavoro dell’Italsider e le attività siderurgiche non sono stati sostituiti da nessuna attività produttiva degna di questo nome, né tradizionale, né terziaria, né tantomeno high tech ecocompatibile, come era stato promesso.
La gestione di Bagnoli testimonia come anche un piano di tipo tradizionale, diciamo riformista, non allineato ai crismi dell’urbanistica contrattata, mostri i suoi limiti nell’indirzzare le traformazioni del territorio; come si inceppi perché scollegato da una vera mobilitazione dei soggetti sociali i cui interessi mira a rappresentare. Bagnoli non è solo una pagina dell’urbanistica napoletana ma un esempio significativo delle modalità con cui è stato costruito il sistema di potere locale del centrosinistra, il bassolinismo, quell’intreccio bipartisan di interessi politici ed imprenditoriali che ha permesso l’utilizzo dei fondi pubblici per la costruzione di un consenso diffuso. E non è un caso che le fortune di quel sistema siano partite dalle gestione di un Grande Evento, il G7 del 1994, che lanciò nelle televisioni di tutto il mondo l’immagine del Rinascimento Napoletano: successo di marketing in verità ottenuto con il poco sforzo di una manutenzione straordinaria operata sulle zone bene della città (per nostra fortuna) e di una non indifferente blindatura poliziesca. E’ nell’ambito della critica di quel sistema e dei suoi effetti che ha senso un discorso su Bagnoli intesa come tessera di un più ampio mosaico territoriale.
Il Forum Universale delle Culture 2013
In quest’ottica negli ultimi due anni abbiamo promosso, come Assise, un percorso politico di critica al Forum Universale delle Culture, un Grande Evento che si svolgerà a Napoli nel 2013, interessando parte delle aree di Bagnoli-Fuorigrotta e del centro storico di Napoli. Ovviamente partivamo dal timore che il Grande Evento, così come era successo nel 2003 con l’America’s Cup, divenisse il grimaldello per consegnare pezzi dell’area agli interessi speculativi: in questo senso andava per esempio la proposta di non rimuovere la colmata e destinarla a piazza per gli eventi del Forum. Ma ci sembrava soprattutto, sull’esempio della campagna di contestazione condotta nel 2004 alla prima edizione del Forum dai movimenti di Barcellona, che l’anno scorso sono venuti a Napoli per descrivercela, ci sembrava un’occasione per aggregare i soggetti che si erano spesi nelle lotte per l’ambiente, la salute, il lavoro, i diritti dei migranti, la difesa del carattere pubblico di scuola e ricerca, contro la privatizzazione dei beni comuni, per coinvolgerli in una riflessione sulla città e i suoi bisogni reali, e in una critica ai modi in cui invece i poteri politici ed economici progettano ed attuano la sua costruzione. Visto che siamo nel decennale del Social Forum, possiamo dire “per dare visibilità ad un’altra città possibile”. Che ci sembra poi anche la prospettiva, per esempio, dei compagni di Milano che quando contestano l’Expo 2015 gli contrappongono un’altra immagine della città, fondata sulla partecipazione popolare, il recupero del patrimonio edilizio esistente e delle periferie, lo sviluppo delle energie sostenibili e del trasporto pubblico, il potenziamento dell’agricoltura periurbana, etc.
Il Forum 2013 si presenta come un grosso calderone in cui ogni tre anni in una città del mondo, sotto l’insegna di grandi parole come pace, conoscenza, sviluppo sostenibile, diversità culturale, viene organizzata per alcuni mesi una megakermesse di eventi spettacolari, mostre, concerti, proiezioni, dibattiti, e quant’altro; il tutto ovviamente in una cornice molto banale e consumistica, perché lo scopo non è certo affrontare quei problemi ma fare pubblicità alla città. A Barcellona, il Forum se lo sono inventato proprio per rilanciare l’immagine turistico-culturale della città e completare la riqualificazione urbana intrapresa con le Olimpiadi, realizzando quindi da un lato una grande speculazione con relativa espulsione dei ceti popolari nell’area del Poble Nou, dall’altro una sorta di circo mediatico (era proprio un’area perimetrata dove si entrava da varchi predisposti perché si pagava un biglietto) molto fumoso e contraddittorio (in cui i dibattiti sulla pace erano di fatto sponsorizzati da aziende coinvolte in affari e produzioni belliche) che è stato assediato e ridicolizzato dal coordinamento dei movimenti di base, i quali lo hanno utilizzato per dare visibilità ai loro temi, alla loro idea di città. Noi abbiamo cercato di fare un’operazione analoga lanciando una campagna per la promozione di una Napoli effettivamente multiculturale, che è anche girata un po’ a livello nazionale, il Transnival; e occupando lo scorso maggio un’ala abbandonata nella sede del Forum, dove siamo riusciti per un paio di settimane ad organizzare diverse iniziative con gli abitanti, prima di essere sgomberati manu militari Dopodichè, negli ultimi mesi, il Forum si è molto sgonfiato, insieme alle prospettive politiche dell’assessore Oddati che lo aveva lanciato come elemento della sua campagna di candidato sindaco. E’ L’evento è partito con grandi ambizioni e prospettive di finanziamento nazionale, proponendosi quale volano per completare la trasformazione di Bagnoli, far partire quella del centro antico, promuovere la nuova immagine turistica della città; di fatto si è concretizzato nella distribuzione di molte promesse e poche risorse per gli ambienti dello spettacolo. I fondi nazionali non sono arrivati ed è improbabile che Caldoro riesca ad ottenerli. La Regione ha del resto deciso che i tempi di completamento di Bagnoli sono incompatibili con il 2013 e che il Forum si svolgerà nella Mostra d’Oltremare, che è una grande area fieristica ai margini di Bagnoli. Tuttavia restano aperte le questioni connesse al Forum, ossia l’intervento su Bagnoli e centro storico, ed il ruolo che questa manifestazione può ancora giocare in merito. Pochi giorni fa l’assessore regionale all’urbanistica Taglialatela ed Oddati hanno proposto il trasferimento dell’Edenlandia, che è un grosso parco giochi, e dello Zoo, dalla Mostra d’Oltremare alla periferia nord di Napoli, nell’area delle caserme dismesse di Miano, per realizzare una grande area di camping e parcheggio a servizio del Forum. Tenendo conto che i lavori di trasferimento dovrebbero iniziare in pochi mesi, che un’area camping era già prevista nel parco di Bagnoli, che la stessa Edenlandia è coerente con le previsioni di piano, viene confermata l’episodicità che il Grande Evento introduce nella progettazione della città, e anche la strumentalità, perché si libera una zona che, dopo il Forum, avrà sicuramente un destinazione d’uso più redditizia e probabilmente più intensiva. Resta inoltre l’ipotesi di recuperare parte della colmata come piazza del Forum e l’utilizzo dell’ex base Nato, altro capitolo su cui il quartiere di Bagnoli dovrebbe dire una parola, per evitare l’ennesimo scippo di un complesso edilizio di grande valore architettonico che rischia di divenire dopo il Forum un’enclave per non meglio precisate funzioni pregiate (si ipotizzò una fantomatica “Università del Mediterraneo”).
Rifiuti
La lotta contro il sistema di gestione integrata dei rifiuti campana sarà oggetto di un intervento specifico ma volevamo richiamare qui gli elementi della riflessione critica di cui si diceva in apertura. Sui rifiuti si è avuta in Campania, in questi anni, una grande diffusione e crescita di focolai di lotta, comitati, presidi, che, grazie alla progressiva costruzione di reti, hanno saputo realizzare, a partire dall’originaria natura difensiva e particolare delle lotte, una consapevolezza generale dei problemi sociali, politici, economici, legati a quella questione, un discorso comune, dei significativi momenti di unità, per esempio tra comitati locali e movimento dei disoccupati; se in Campania, rispetto a dieci o anche cinque anni fa, c’è una diversa coscienza della questione rifiuti, lo si deve in buona parte a questo movimento. Tuttavia, malgrado ciò, malgrado le vittorie parziali, non si è riusciti sostanzialmente a pesare adeguatamente sul piano politico e sociale, a modificare l’equilibrio di poteri su cui si fonda, tra le altre cose, anche il sistema di gestione integrata dei rifiuti, che in Campania continua ad andare avanti, pur tra mille problemi, ad essere perseguito dai governi nazionali e dalle giunte locali di centrodestra come lo era stato, in accordo bipartisan, da quelle di centrosinistra. Il lavoro di rete a sostegno dell’organizzazione della resistenza locale si è dimostrato necessario ma non sufficiente ad affrontare la dimensione dello scontro con quei poteri; le vittorie ottenute in alcuni casi grazie alla forza delle comunità ed alla situazione politica (Pianura, Terzigno), se divengono esempi di riferimento anche extralocale, non riescono a fare massa, a coinvolgere i grossi centri urbani come Napoli, Salerno o Caserta, a squilibrare realmente la bilancia verso i movimenti. Serve quindi un progetto offensivo, non solo resistenziale, un’organizzazione delle lotte diversa, che riesca ad intrecciare organicamente i diversi livelli, che risulti convincente non solo agli occhi dei militanti ma soprattutto dei soggetti sociali che nelle lotte emergono e che spesso non riusciamo a coinvolgere e trattenere in una sfera di mobilitazione non episodica, non settoriale. Dal che è inevitabile che una parte delle energie sociali attivate finisca per esaurirsi o ricadere magari in meccanismi elettoralistici senza prospettive. Queste considerazioni crediamo non riguardino solo la Campania e debbano essere oggetto di riflessione comune in vista dell’allargamento della crisi rifiuti ad altre regioni (in primis Lazio, Sicilia, Calabria).
Conclusioni
Per questo, in conclusione, crediamo sia necessario lavorare ad un’evoluzione dei rapporti di collaborazione instaurati in questi anni tra le diverse comunità resistenti contro i progetti di speculazione e devastazione ambientale. Le forme del patto di mutuo soccorso hanno sedimentato un’indispensabile tessuto connettivo, fondato sullo scambio di informazioni ed analisi, sulle manifestazioni politiche unitarie e le azioni di solidarietà. Ma la sfida che la crisi politica ed economica in corso pone oggi ai movimenti, e che riceve un poderoso stimolo dai tumultuosi processi di mobilitazione popolare in corso sull’altra sponda del Mediterraneo, è quella di aprire una fase costituente, capace di definire pratiche, soggetti e piattaforme nazionali di lotta: un percorso rispettoso delle diversità che, evitando forzature organizzativistiche, tantomeno di stampo elettorale, punti a estendere e rafforzare le attuali forme collaborative, precisando progressivamente analisi, obiettivi e campagne d’azione comune. Un movimento vero, non un’etichetta esotica. E qui, insieme ad avanzare proposte, va fatta un’analisi critica dei tentativi svolti finora in tal senso, per esempio, con la campagna per l’abolizione dei contributi CIP 6, che ci sembra aver dato risultati men che mediocri, oppure delle iniziative condotte contro la privatizzazione dell’acqua; è indispensabile, nel momento in cui si ricostruisce anche la lotta contro il nucleare e, bene o male, ci si dovrà rapportare ad una campagna referendaria, per entrambe le questioni.
Certamente tra oggi e domani porremmo più interrogativi di quanti riusciremo a scioglierne.
Come da programma, i lavori di oggi saranno incentrati sulle relazioni che abbiamo chiesto ai comitati locali e ai contributi tematici di compagni e tecnici; sarà quindi una giornata di ascolto e dovremmo cercare di assimilare le esperienze che i compagni ci esporranno. Questa sera tenteremo di fare un punto ed estrarre quegli elementi di ragionamento da riprendere domani mattina in una tavola rotonda con interventi liberi. Contiamo di riuscire a sviluppare delle proposte per quel movimento nazionale evocato nel manifesto, tenendo presente che questo discorso continuerà nei successivi appuntamenti nazionali, tra cui quello di Abitare nella Crisi che si terrà verso metà marzo a Firenze e la terza sessione degli Stati Generali della Precarietà prevista per aprile a Roma. A questi vorremmo aggiungere fin da ora la proposta di un appuntamento nazionale sulla questione rifiuti ma ne parleremo meglio domani in tavola rotonda.
Assise Cittadina per Bagnoli_Rete Campana Salute e Ambiente
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